Il 21 gennaio è uscito il film del trio romano "The Pills - Sempre meglio che lavorare" (che è già stato recensito da Spleen e Gulag).
Divincolandomi tra le polemiche varie legate al film (e le polemiche legate alle polemiche) ho chiesto a Luca Vecchi, il regista del film nonché 1/3 dei The Pills, che ha parlato a nome di tutti e tre, di scambiare due chiacchiere su questa nuova avventura:
Ciao Luca, innanzi tutto ti ringrazio per la disponibilità. Puoi raccontarmi brevemente come è nato inizialmente il progetto The Pills?
Come contributo audio/video ad una free-press romana.
In questo periodo avete avuto una notevole esposizione mediatica, prima per il programma televisivo "Non ce la faremo mai", poi per il film "Sempre meglio che lavorare". Come è cambiata la tua vita?
Non ce la Faremo Mai doveva aumentare i contatti attraverso la televisione generalista fungendo da spinta propulsiva per il lancio del lungometraggio. Questa è stata la strategia di Tao.
Purtroppo è un esperimento riuscito in maniera approssimativa, sia per la mancanza di tempo - poiché eravamo concentrati prevalentemente sul film - sia perché è un linguaggio che poco ci appartiene: ecco perché abbiamo tentato di virare verso la fiction anche in quel caso, escogitando una sorta di Boris della televisione generalista.
Mentre la televisione è in qualche modo più vicina al mondo del web, il cinema è un medium totalmente diverso. Com'è stato l'approccio?
Personalmente, per come abbiamo sempre utilizzato il web nei cortometraggi, sento più vicino il linguaggio cinematografico rispetto alla televisione.
Non credo esista media con più vincoli della televisione.
Specie quella generalista.
Se non sbaglio questa è la tua prima regia di un lungometraggio. Come è stata l'esperienza su un set cinematografico rispetto a ciò a cui eri abituato?
Stancante ma meravigliosa.
Mi ha dato la possibilità di poter lavorare con tutti i crismi del caso, nonostante sia una macchina molto più pesante e di grossa cilindrata rispetto a quella utilizzata negli sketches.
Mi ha dato inoltre la possibilità di lavorare con un sacco di professionisti assai validi che si sono prestati ad un’impostazione combat che forse la maggior parte dei luminari e veterani del settore avrebbero rigettato mandandomi a fare in culo.
Una delle vostre cifre stilistiche sono sicuramente le citazioni, che abbondano anche nel film. Quella che mi ha fatto godere è stata sicuramente quella di Breaking Bad (a proposito complimenti per il primo promo). Come avete fatto a coinvolgere Giancarlo Esposito? Com'è stato lavorare con lui?
È stato tutto merito dell’aiuto regia Giulio Cupperi, che l’ha proposto e che si è prodigato nel contattarlo. Poi merito di Rovere e Ascent per quanto riguarda negoziazione e quant’altro.
È un attore vero e lavorare assieme a lui è stato a dir poco formativo. Poi purtroppo non riesco a fare a meno di subire il fascino di una personalità di natura internazionale come lui e sono stato un bel po’ facioletto in più di un’occasione.
Che non se dovrebbe propriamente fa quando sei regista al cospetto di un attore.
Il film è chiaramente un’opera prima e come tale non priva di difetti, ma la poca affluenza nelle sale (sicuramente non aiutata dalla distribuzione, dato che è uscito in concomitanza con quasi tutti i film candidati all'Oscar- a Firenze era disponibile in una sola sala alle 22:45) e le polemiche che si sono scatenate intorno al vostro approccio alle recensioni che sono uscite (totalmente in linea con ciò che chi vi conosce si sarebbe aspettato) non rispecchiano assolutamente il valore del vostro lavoro.
Come ti sei vissuto questa vicenda?
Male. L’attenzione, dal film, si è spostata totalmente altrove.
E persone che non sono venute minimamente a contatto con la pellicola si sono arrogate il diritto di pontificare sulla sua qualità e sui suoi contenuti.
Forse c’erano troppe aspettative dietro al film; come se dovesse dimostrare chissà cosa. Ma si tratta di una commedia, e doveva esser fruita unicamente come tale: doveva intrattenere e far ridere; non cambiare le sorti del cinema italiano.
Sono state molte le recensioni positive.
Ma l’attenzione si è focalizzata unicamente sulle poche negative, lanciando quasi un trend. Può sembrare che il film sia stato distribuito in moltissime sale in tutta Italia, ma erano “copie parziali”, il che significa che il film veniva proiettato a gusto dell’esercente in orari e giorni che sceglieva lui.
È anche vero che The Pills è un fenomeno fortemente geolocalizzato nel Lazio e dintorni, e che la concorrenza era spietata (Revenant, Creed, Jobs), ma offriva comunque un servizio di natura diversa rispetto ai grossi calibri in sala quei giorni: una commedia giovane e strampalata, sgrammaticata sì, ma comunque originale per i tempi che corrono. Mi spiace l’operazione sia stata percepita male. E mi spiace che l’esperimento sia stato difeso poco dal suo demiurgo Valsecchi.
Noi abbiamo semplicemente utilizzato il nostro atteggiamento di sempre, e mi rendo conto che per chi non ci conosce possa esser stato fonte di fraintendimento. Ma se il film vale sarà in grado di camminare con le sue sole gambe; e questo ce lo dirà soltanto il tempo.
Come dicevo sono rimasto veramente colpito dal teaser con Gus Fring che ho ritenuto una forma di promozione geniale, ma forse era troppo diretta al vostro target. Infatti una delle cose che mi è dispiaciuto constatare in questa faccenda è stata la poca voglia di scoprire qualcosa di nuovo da parte del pubblico. Pensi che il problema sia stato di comunicazione o è la massa a voler sempre le solite cose?
Beh, dire che ci sia stata confusione in termini di strategia di comunicazione è un eufemismo. Ma quando ti rapporti con dinamiche di produzione canoniche è anche difficile sperimentare poiché esistono procedure rodate che il distributore sente più affidabili poiché comprovate.
Ad esempio il bianco e nero in locandine di film italiani, per di più commedia, non è minimamente contemplato.
Poiché per loro non è Clerks ma immediatamente Schindler’s List. Nonostante il B/N sia un tratto assai distintivo del prodotto The Pills. Avevamo una strategia, elaborata da noi, sul gettare confusione sulla tematica del film e volevamo realizzare dei fake trailer, stile grindhouse, ma questo ha spaventato produzione e distribuzione.
Insomma esistono dinamiche più grandi di noi con le quali però devi fare i conti, e con il senno di poi ti mordi le mani.
Però l’abilità sta anche nel cercare di conciliare le tue necessità artistiche con dinamiche di questo tipo, ecco. Di aneddoti ne esisterebbero un fiume ma non voglio tediare oltre.
Personalmente ritengo tutta questa faccenda una grande occasione sprecata. Sia per quanto riguarda il pubblico (sempre pronto a lamentarsi di una carenza di offerta, ma poco disposto a supportare le novità), sia per ciò che riguarda l'industria (che produce una novità, ma pare allo stesso tempo boicottarla - questa cosa dell'unica sala alle 22:45 non mi è andata proprio giù).
Come vedi il futuro del cinema italiano?
Personalmente mi rode più per la qualità della versione pirata del film finita su Cineblog01. Almeno potevano trafugarne una che desse dignità al lavoro svolto.
Da ognuno di noi. Anche a quello del macchinista e dell’elettricista. Il futuro del cinema è quello che è, e che è sempre stato: le idee. E naturalmente il coraggio di metterle in pratica. Lo Chiamavano Jeeg Robot è un bellissimo esperimento che consigliamo a tutti.
Ma il regista Mainetti, un nostro caro amico, ha dovuto finanziarsi in prima persona affinché il progetto vedesse la luce. Speriamo, in futuro, di vedere più persone come lui.
Je dovrebbero lancià i componenti per quanto è un fico.
Qual è il prossimo progetto in cantiere?
Luca Vecchi: Ce ne sono stati molti e ce ne saranno altri. Purtroppo non tutti hanno la fortuna di essere concretizzati.
Le dinamiche di cui parlavamo prima.