Zoo York — L’anno che accese la miccia

Un anno nel cuore di New York, tra skateboard, graffiti e streetwear: un’esperienza irripetibile che ha plasmato il mio sguardo e acceso la scintilla che avrebbe portato alla nascita di Gold.
Omar Rashid, Zoo York

Nel settembre del 2002 arrivai a New York per un internship da Zoo York, grazie a un contatto che mi aveva passato il mio amico Luke Meier, designer di Supreme e compagno di corso al Polimoda. Avevo già accettato l’offerta di Givenchy, ma non potevo lasciarmi scappare l’occasione di vivere l’epicentro dello streetwear.

Il mio inglese era pessimo e il primo incarico fu rispondere al telefono e guardare video di skate prodotti da loro — con risultati disastrosi. Nonostante questo, continuai a presentarmi ogni giorno, restando fino alla chiusura e chiedendo a chiunque se potessi dare una mano. Quell’insistenza finì per farmi notare: scoprirono che sapevo usare Illustrator e Photoshop, e così iniziai a collaborare con il team creativo, affiancando Christian JaquetKimou Meyer (Grotesk)Kelly BahashMichelle Sauer e Andre Page, con cui nacque un’amicizia sincera. Gli insegnai qualche parolaccia in italiano e, vent’anni dopo, è passato a trovarmi a Firenze.

L’ambiente era incredibile. Zoo York era appena stata acquisita da Marc Ecko e stava vivendo un momento d’oro: la collaborazione con Nike SB aveva appena prodotto una delle Dunk più iconiche della storia, e per la prima volta il mondo del writing entrava ufficialmente nella moda. Nel basement tra la 38ª e Broadway passavano leggende come FuturaStay HighDr RevoltPhase 2Ghost e Reas, insieme alla crew di skater guidata da Jeff Pang. Persino i N.E.R.D. con Pharrell Williams venivano a trovarci, guardandoci come “quelli ganzi”.

Fu Dave Ortiz a ribattezzarmi “Franco Bianco”, un rimando a Frank White, il personaggio interpretato da Christopher Walken nel film King of New York di Abel Ferrara — soprannome che comparve perfino nei credits di alcuni materiali promozionali.

Dopo il primo trimestre mi proposero un contratto vero e proprio, ma mentre aspettavamo il visto, l’amministrazione Bush emanò una legge che lo negava a chiunque fosse nato in paesi considerati “a rischio”. Io, nato in Iraq, rientrai tra quei casi.

Nonostante tutto, mi tennero ancora per un trimestre, durante il quale iniziai a gettare le basi per quello che sarebbe diventato Gold: scelsi il nome, iniziai a intessere rapporti commerciali con i brand che avrei voluto portare in negozio — Zoo York compresa — e cominciai a cercare lo spazio giusto a Firenze. Avrei dovuto chiudere ufficialmente il rapporto di lavoro il 15 agosto, ma il 14 ci fu il grande blackout della East Coast. Quando tornò la luce in ufficio, io non c’ero già più.

Fu un colpo duro, ma quell’anno fu una rivelazione: mi trovavo nel posto giusto al momento giusto, nel cuore pulsante di una rivoluzione culturale. Zoo York fu la miccia che accese Gold.