Litfiba – Da Istanbul a SOS Palestina

Una storia che parte da una voce registrata in studio e si chiude quarant’anni dopo, su un palco. Da “Istanbul” a SOS Palestina, la musica dei Litfiba diventa il filo che unisce memoria, famiglia e resistenza.

Ci sono storie che restano sospese per decenni, finché qualcuno non decide di riaprirle.

Nel 1985, durante le registrazioni di “Istanbul”, brano contenuto nell’album Desaparecido dei Litfiba, mia madre Luciafu invitata da Piero Pelù a recitare una preghiera in arabo come introduzione del pezzo.

Per l’occasione la ribattezzò Lu Rashid.

Lucia è italiana, ma da ragazza ha vissuto due anni in Iraq, dove ha imparato l’arabo con la naturalezza di chi assorbe una lingua insieme ai gesti quotidiani.

Piero lo scoprì e le chiese di registrare quell’intro, un’invocazione breve e intensa che apriva il brano con una voce nuova: femminile, antica e misteriosa.

Non salì mai sul palco, ma quella registrazione rimase — come un piccolo frammento di mondo dentro la storia dei Litfiba, e dentro la mia.

Molti anni dopo, incontro Piero al Festival dei Popoli.

Gli dico: «Sono il figlio di Lu Rashid».

Sorride: se la ricorda perfettamente.

Da lì nasce un legame fatto di stima e curiosità reciproca, che col tempo diventa collaborazione.

Nel 2025, Piero organizza SOS Palestina, un concerto benefico a favore di Medici Senza Frontiere.

Mi chiede una mano per le riprese.

Accetto subito e in pochi giorni metto insieme una piccola troupe con LorenzoGabryCosimo e Sasan. Nessun budget, solo la voglia di esserci.

All’Anfiteatro delle Cascine di Firenze, quella sera, la musica diventa un atto politico.

Sul palco si alternano Afterhours, Bandabardò, FASK, Roy Paci, Ginevra Di Marco, Tre Allegri Ragazzi Morti, Zen Circus e molti altri.

Durante le prove, Piero ci parla di “S.O.S.”, un brano appena scritto, figlio diretto dell’urgenza che aveva acceso l’evento.

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Dopo il concerto, montiamo insieme il videoclip, intrecciando le riprese del live con materiali d’archivio scelti da lui, per creare un racconto che attraversa quarant’anni di memoria e militanza.

Poi, qualche settimana dopo, arriva la sorpresa.

Piero mi chiama: «Sabato suoniamo al Viper, porta la camera. E chiedi a tua madre se vuole venire a vedere il concerto».

Lucia accetta.

Ma due ore prima dello show, le chiede se se la sente di cantare dal vivo.

Lei dice di sì, senza pensarci troppo.

Arriva con un abito palestinese, la voce ferma e un’emozione che non prova a nascondere.

E così, quarant’anni dopo la registrazione di “Istanbul”Lu Rashid canta dal vivo per la prima volta.

Io riprendo tutto.

Sul palco c’è lei, Piero accanto, la stessa energia di allora ma un tempo diverso addosso: quello che serve per capire davvero cosa significa chiudere un cerchio.

Un progetto nato per solidarietà è diventato una storia di ritorni, di voci che non si spengono e di come la musica riesca, ancora una volta, a unire vite lontane.