Street Opera
Il mondo del rap l’ho scoperto di riflesso al mondo dei graffiti, la vera passione che mi ha trainato e incanalato poi nel mondo del lavoro, nata intorno ai miei quattordici anni, ma che mi ha travolto sin da subito.
C’è da dire che nei primi anni Novanta, quando mi ci approcciai io, il mondo hip hop era molto più coeso di quanto non sia oggi, totalmente frammentato.
Non potevi parlare di graffiti senza toccare anche il rap, il turntablism e la break dance.
Eravamo davvero in pochi in tutta Italia a seguire questa controcultura, e quindi era facile conoscersi tutti, a prescindere dalla disciplina di riferimento.

Quando aprii il primo negozio Gold, ero sicuramente più vicino al writing, vendendo spray e t-shirt realizzate da writer, ma la connessione con il rap fu immediata e indissolubile.
I primi “testimonial” che Gold ha avuto erano appunto rapper e dj, tutti personaggi che conoscevo direttamente e che, nei primi tempi del negozio, appartenevano ancora alla sfera underground.
Dopo pochi anni il rap esplose e, in breve tempo, si assestò nel panorama mainstream, diventando a tutti gli effetti un fenomeno pop.
Mi ritrovai quindi ad avere dei testimonial più grossi di quanto io — o loro — potessimo immaginare.
Qualche anno dopo, nel 2013, conobbi un regista fiorentino mio omonimo (non siamo parenti, anche se lo pensano tutti) e insieme decidemmo di realizzare un documentario che raccontasse questo fenomeno, non dal punto di vista storico ma impressionista.

Da quest’idea nacque Street Opera, titolo che cita il brano cult omonimo di Fritz da Cat con il featuring di Luca Barcellona aka Lord Bean, che ha anche realizzato il logo.
Un brano (e un album) che considero fondamentale nel panorama hip hop italiano.
Ho sempre avuto una passione per i linguaggi, soprattutto quelli underground, e anche il rap venne trattato come tale.
I nomi del panorama che conoscevo direttamente erano tantissimi, ma per dare un taglio più potabile e non rischiare di escludere qualcuno, optai per una rosa dei venti del rap italiano, focalizzandomi su quattro artisti che rappresentavano anime molto diverse della scena nazionale:
– Danno dei Colle der Fomento per il lato più underground e autentico
– Guè Pequeno per l’aspetto più mainstream ed entertaining
– Tormento, che con i Sottotono era stato tra i precursori della scena pop, poi tornato all’underground
– Clementino, che aveva dominato il freestyle e stava conquistando anche il mainstream

Street Opera rivela il lato autentico di questi artisti: la dedizione, la passione, la determinazione.
A fare da Virgilio in questo viaggio dentro una forma d’espressione così personale e potente, Elio Germano.
Non tutti sanno che Elio ha un gruppo rap, Le Bestierare, attivo dal 1994.
Un progetto rimasto volontariamente underground, perché per lui è uno spazio libero dove può dire ciò che pensa, al contrario del cinema dove deve interpretare personaggi scritti da altri.
Ci concentrammo molto sull’esperienza dal vivo, seguendo i nostri cinque (e molti altri) per quasi un anno.
Poi iniziammo il montaggio, che si concluse poco prima della partecipazione, nel 2015, al festival Alice nella città, sezione parallela alla Festa del Cinema di Roma, dove presentammo Street Opera con i quattro protagonisti.
Il documentario fu presentato in altri contesti festivalieri, ma non ottenne mai una vera distribuzione, quindi purtroppo fu visto da pochi fortunati.

Nonostante ciò Street Opera ha vinto una Menzione Speciale ai Nastri D’Argento 2016.






