Being Omar Rashid
Being Omar Rashid nasce come un test tecnico e diventa, per caso, un piccolo cortometraggio sulla moltiplicazione di sé.
Volevo spingere oltre l’esperimento di Drumpossible, esplorando la compresenza dello stesso personaggio nello stesso ambiente, ma con una vera interazione tra le repliche — una sorta di dialogo impossibile con me stesso.
Era nato davvero come test: improvvisato, rattoppato più volte, girato senza troppe pretese.
Ma durante la post con Cosimo Lombardelli (che non solo ha curato il montaggio, ma ha contribuito in modo sostanziale alla progettazione), il progetto ha preso forma fino a diventare qualcosa di compiuto.
A quel punto decisi di non rifarlo, ma di tenerlo così com’era: grezzo, ma vero.
Il titolo, un ovvio omaggio a Being John Malkovich di Spike Jonze, non l’ho scelto io — me lo affibbiò Anthony Vitillo dopo averlo visto a un evento di Piemonte dal Vivo, e da allora non ho più avuto dubbi.
Un piccolo film di due minuti, ma per me una grande sintesi del potenziale narrativo della VR: poter guardare se stessi, da fuori e da dentro, nello stesso momento, ripetutamente.