Cinema Virtuale: Un nuovo linguaggio
 
Il libro è nato quasi per caso, come un appunto diventato troppo lungo.
Negli ultimi anni mi è capitato spesso di tenere lezioni e interventi sulla realtà virtuale, e ogni volta che qualcuno mi chiedeva la bibliografia mi rendevo conto di quanto fosse breve.
Così ho iniziato a mettere insieme esperienze, pensieri e progetti, provando a raccontare in che modo la VR stia riscrivendo il linguaggio del cinema, e come questa trasformazione abbia cambiato anche il mio modo di guardare le immagini.
Cinema Virtuale – Un nuovo linguaggio è, come ha scritto Simone Arcagni nella prefazione, “un diario di lavorazione con un taglio divulgativo e una dimensione manualistica”.
Una definizione perfetta, anche se un po’ più generosa di quanto merito.
Non è un manuale, e non è un saggio teorico: è piuttosto un tentativo di mettere in ordine anni di esperimenti e di restituire un’idea di cinema che non si ferma davanti all’inquadratura.
L’ho scritto interamente da solo, tranne un capitolo dedicato al movimento, curato da Margherita Landi — mia moglie — che da anni lavora sull’incontro tra corpo e tecnologie interattive.
Le foto sono di mio fratello Nuri, mentre la grafica è di Matteo Moretti ed Enrico Visani, che sono riusciti a dare forma visiva a un libro che parla di immagini ma nasce senza schermo.
 
La versione cartacea ha una piccola particolarità: se la si sfoglia velocemente, la mia testa con un visore VR si muove come in uno stripbook d’altri tempi, trasformando il libro in un mini film d’animazione analogico (un modo ironico per ricordare che l’immersione può esistere anche senza tecnologia).
Dentro ci sono riflessioni su linguaggio e percezione, esempi tratti dai miei lavori e da quelli di altri autori che hanno provato a raccontare il mondo in 360°.
Ma soprattutto, c’è la convinzione che la realtà virtuale non sia solo un mezzo nuovo, ma un’occasione per ripensare il cinema da capo.
Cinema Virtuale – Un nuovo linguaggio è disponibile su Amazon, in formato cartaceo e digitale.
L’ho autoprodotto — in puro stile Vannacci — ma prometto che dentro non ci sono bufale, solo storie di visori.